25.10.2005
Il regolamento Fasi è fuorilegge!
Lettera aperta di un istruttore Fasi.
Mi accingo a scrivere due righe che avrei voluto evitare, o meglio
che non ho voglia di scrivere.
Ho già abbastanza grane da questa questione e aggiungerne altre
scrivendo una lettera aperta non è mai stato un mio obiettivo, ma
dopo tutto quanto è stato detto e scritto sento indispensabile raccontare
i fatti per chi ha voglia di leggerli, e soprattutto per i tanti
istruttori che mi hanno chiamato per manifestare solidarietà e capire
come procedere con le attività della loro società sportiva.
Sono state dette e scritte tante cose, alcune vere, molte false
o volutamente sibilline, e vorrei qui fare un po di chiarezza.
Innanzitutto tengo a precisare che l’istruttore che accompagnava
e il sottoscritto che ha organizzato il corso, entrambi condannati
in primo grado a 2 mesi di galera, erano istruttori brevettati
FASI e stavano portando avanti un corso in tutto e per tutto conforme
ai regolamenti della federazione, come ha confermato il giudice
che ha decretato la condanna.
In secondo luogo va detto che la condanna è arrivata proprio per
questo:
il giudice non si è fatto distrarre dai tentativi delle guide alpine
di spostare l’asse del problema sull’avvicinamento a loro avviso
alpinistico, o sull’importo del corso che sempre a loro avviso dimostrava
l’abuso, ma è entrato nel nocciolo della questione e per questo
ci ha condannati alla prigione:
stavamo facendo un corso secondo il regolamento FASI e il regolamento
FASI è fuorilegge.
Il giudice, per chiarire, aggiunge che nel momento in cui il CONI
approva tale regolamento, si porta a sua volta fuori dalla legge.
A me, in particolare, l’aggravante di essere consapevole del regolamento
FASI e della legge quadro che istituisce le guide alpine.
Attualmente quindi c’è una condanna in attesa dell’
appello che si terrà a novembre.
Detto questo, va da se che qualunque istruttore
che a titolo volontario e gratuito insegni arrampicata in falesia
per la propria Società, deve temere possibili nuove denunce come
minacciato dalle guide alpine stesse con un comunicato arrivato
alle società in questi mesi, e che se tali istruttori non vogliono
rischiare una visita al carcere del loro paese, è meglio che sospendano
le attività.
Ribadisco che la condanna è arrivata proprio perché gli istruttori
si muovevano come da regolamento FASI, non perché ne erano al di
fuori. Non stavamo organizzando corsi su vie alpinistiche, ne era
alpinistico l’avvicinamento, ne ci siamo mai spacciati per guide
alpine, né abbiamo mai ricevuto personalmente soldi dagli allievi.
Tutto questo appare chiaro nella sentenza.
La condanna giunge proprio perché il regolamento FASI è fuorilegge
come chi lo mette in pratica.
Tutti i consigli dati da chi sostiene che “non c’è nessun pericolo”
a continuare nell’attività di istruttore in falesia, sono consigli
interessati, dati sulla pelle degli istruttori, a mio avviso per
mascherare più o meno grosse responsabilità avute in questa debacle
federale.
Il problema, per chi non l’avesse ancora capito, non è rappresentato
dai due istruttori di Versante Sud, ma dalla possibilità della Federazione
di lavorare in falesia. Da questo punto di vista, la Federazione
incassa una grossa sconfitta, almeno se consideriamo la falesia
parte essenziale della nostra attività. A meno di una mia vittoria
in appello, e sottolineo mia e al limite dell’Associazione Versante
Sud, che rischia di contribuire al pesante risarcimento, il lavoro
di docenza o di allenamento in falesia sarà possibile solo a una
guida alpina o in sua presenza.
Quale sarà la conseguenza per le società sportive lo lascio immaginare
a voi.
I FATTI
La mia società sportiva, affiliata FASI, organizzava corsi misti,
in falesia e sintetico, tenuti da istruttori societari FASI. Il
corso prevedeva un istruttore ogni 4-6 persone di media, 8 lezioni
in falesia 4 in palestra e costava 360.000 lire che andavano all’associazione,
previo rilascio di ricevuta. L’istruttore percepiva, a fine corso,
un rimborso spesa, previo rilascio di giustificativi.
A uno di questi corsi, nell’ottobre 1997 , si iscriveva la segretaria
di una palestra di Milano, nostra concorrente, sede del più numeroso
gruppo di guide alpine milanesi.
Durante la seconda o terza uscita, non ricordo bene, l’istruttore
portò il corso alla falesia del Vaccarese, una falesia sotto
tutti gli aspetti con un’avvicinamento in piano, di una trentina
di minuti, elementare. L’allieva, che lavorava per le guide alpine,
durante il ritorno sul sentiero, manifestò paura, panico e chiese
di essere legata. A quel punto scattò delle foto e ci denunciò.
Eravamo precedentemente stati contattati dall’avvocato del collegio
guide alpine lombarde che ci intimò di sospendere l’attività, altrimenti
avrebbe chiesto la sospensione immediata dei corsi e la chiusura
con sigilli della nostra associazione.
In un incontro, presente il presidente del collegio G.A.Togni, rispondemmo
che avremmo continuato la nostra attività visto che nulla facevamo
al di fuori di quanto consentito dalla FASI.
CIVILE NEI CONFRONTI DELL’ASSOCIAZIONE
La denuncia presso il tribunale civile partì con richiesta di procedura
di urgenza e sigilli all’associazione. La Federazione, allora presidente
Andrea Mellano, capì l’importanza della posta in gioco, supportò
il nostro avvocato attraverso l’allora procuratore federale Ceccanti
e tutto si risolse per il meglio.
Le guide alpine furono condannate a pagare le spese istruttorie
di tribunale.
PENALE NEI CONFRONTI DEGLI ISTRUTTORI
Dopo poco venne notificato a me e all’istruttore una denuncia penale
per abuso di professione.
Il Pubblico Ministero (che avrebbe il compito di accusare) richiese
l'archiviazione, la controparte Collegio Guide Alpine fece opposizione
contro la richiesta di archiviazione, e il Giudice per le indagini
preliminari accolse l'opposizione e ordinò a un nuovo Pubblico Ministero
di proseguire nelle indagini, si aprì il processo e ancora il nuovo
Pubblico Ministero chiese l'assoluzione in quanto non vi era dolo
e neache colpa:
le guide alpine non avrebbero a suo avviso l’esclusiva sull’arrampicata
sportiva.
Il giudice non fu dello stesso parerere e condannò, in primo grado,
me e l’istruttore alla galera.
LA FEDERAZIONE
Dopo il provvidenziale intervento di Andrea Mellano e di Massimo
Ceccanti nella denuncia civile, chiesi aiuto alla nuova gestione
Federale targata Ariano Amici.Mi venne detto dal presidente e dal
Segretario che la falesia non rientrava più negli obiettivi prioritari
del nuovo consiglio, e trovai sensibilità al problema solo nell’allora
consigliere Aristodemo Aloi che sottopose la mia vicenda agli uffici
legali del CONI: il Dott La Torre del CONI provinciale e il Dott.
Camilli del CONI nazionale che, a suo dire, definirono la situazione
molto grave per la Federazione. Tramite di essi Aloi riuscì a sottoporre
la questione a Pescante, ma da li scattò il veto del Consiglio Federale
e ogni speranza di avere un supporto dalla FASI andò a morire.
Se siete interessati chiedete ad Aristodemo le interessanti motivazioni
portate dal nostro gruppo dirigente quando gli impose di tenere
la Federazione fuori dal gioco.
Mesi dopo la sentenza, che probabilmente neppure il consiglio si
aspettava (a mio avviso sperava opportunisticamente di cavalcare
la Mia vittoria), ricevetti la telefonata del Procuratore federale
che me ne chiedeva il testo perché, mi disse, “vogliamo aiutarti
a risolvere il tuo probelma”.
Va detto che, nel processo di secondo grado, si può solo discutere
le conclusioni tirate dal giudice di primo grado in merito agli
elementi portati nel primo grado stesso. E’ quasi impossibile introdurre
nuovi elementi, tantomeno l’intervento e la presa di posizione di
una Federazione che in primo grado non si è vista, se non per la
convocazione da parte del tribunale stesso del presidente come soggetto
informato dei fatti.
A questo punto (parliamo di giugno 2005), considerandola inutile
e opportunistica, rifiutai l’entrata in giuoco della federazione.
Va aggiunto che, mentre il mio processo
si concludeva con una condanna nel totale abbandono da parte della
Federazione, il consiglio si incontrava con l’ordine delle Guide
Alpine per non so quali accordi in termini di falesia.
In un’articolo senza firma, sull’ultimo numero di SPORTARRAMPICATA,
l’incontro si dice tenutosi “in un’atmosfera di massimo rispetto
e comprensione”. Sarebbe invece interessante sapere quali ne furono
i contenuti: se si è parlato di banane (fatto che giustificherebbe
la serenità del clima) o se si sono affrontati i noccioli della
questione. Se le conclusioni di cui sembra vada fiero l’anonimo
scrittore sono la lettera di diffida che è arrivata a tutte
le associazioni sportive un paio di settimane fa da parte delle
Guide Alpine, forse è meglio che il nostro gruppo dirigente dia
delle spiegazioni, perché ha tutta l’aria di essere stata una disfatta.
Non avendo con questa lettera intenzione di scatenare nessun dibattitoma
semplicemente di informare chi continuamente chiede chiarimenti
sui fatti, ringrazio e saluto chi ha dato spazio a queste mie pagine
e a tutti coloro che mi hanno mostrato solidarietà.
Roberto Capucciati
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