5 Referendum Abrogativi
I referendum abrogativi in Italia necessitano di un quorum per essere validi. Affinché l’abrogazione di una legge sia effettiva, è necessario che alla votazione partecipi la maggioranza degli aventi diritto al voto (50% + 1). Se questo quorum non viene raggiunto, anche se la maggioranza dei votanti si esprime a favore dell’abrogazione, la legge rimane in vigore.

Che cosa si vuole abrogare
I referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno 2025 sono cinque e riguardano diverse tematiche, principalmente legate al lavoro e alla cittadinanza:
1- Contratto di lavoro a tutele crescenti – Disciplina dei licenziamenti illegittimi :
Si chiede l’abrogazione del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, che disciplina i licenziamenti illegittimi nel contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti (il cosiddetto Jobs Act).
In sostanza, questo referendum mira ad abrogare completamente il Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 23. Questo decreto è stato introdotto nell’ambito del cosiddetto Jobs Act e ha riformato la disciplina dei licenziamenti illegittimi per i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Prima dell’introduzione di questo decreto, in caso di licenziamento illegittimo (ad esempio, senza giusta causa o giustificato motivo), il lavoratore poteva essere reintegrato nel posto di lavoro. Il Decreto Legislativo n. 23/2015 ha introdotto un sistema diverso per i nuovi assunti a tempo indeterminato:
Indennizzo economico crescente con l’anzianità di servizio: In caso di licenziamento illegittimo, il lavoratore ha diritto a un indennizzo economico che varia in base agli anni di servizio presso l’azienda. L’importo dell’indennizzo è stabilito per legge e non è predeterminato dal giudice.
Reintegrazione limitata: La reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro è prevista solo in casi specifici e nei casi più gravi di licenziamento illegittimo, come ad esempio licenziamenti discriminatori, nulli o intimati in forma orale.
Se la maggioranza dei votanti si esprimesse a favore del “Sì” e venisse raggiunto il quorum, il Decreto Legislativo n. 23/2015 verrebbe abrogato. Questo significherebbe che anche per i lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto (7 marzo 2015), in caso di licenziamento illegittimo si tornerebbe, in linea generale, alla disciplina precedente, prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (come modificato dalla Legge Fornero).
In sintesi, la vittoria del “Sì” riporterebbe, come regola generale in caso di licenziamento illegittimo, la possibilità per il lavoratore di essere reintegrato nel posto di lavoro, superando il sistema dell’indennizzo economico crescente come principale forma di tutela.
2- Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità:
Questo referendum mira ad abrogare parzialmente l’articolo 8 della Legge 15 luglio 1966, n. 604. Questa legge disciplina i licenziamenti individuali e, nel suo articolo 8, prevede una specifica regolamentazione per le imprese con un numero di dipendenti non superiore a quindici.
Cosa prevede attualmente l’articolo 8 della Legge n. 604/1966 per le piccole imprese?
L’articolo 8 stabilisce che, in caso di licenziamento individuale illegittimo in un’impresa con meno di 16 dipendenti, il datore di lavoro è tenuto al pagamento di un’indennità di mancato preavviso (se dovuto) e di un’indennità supplementare, la cui misura è determinata in relazione all’anzianità di servizio del lavoratore, alle dimensioni dell’impresa e al numero dei dipendenti.
Importante: A differenza della disciplina generale per le aziende più grandi (modificata poi dal Jobs Act per i nuovi assunti), per le piccole imprese la legge n. 604/1966 non prevede, come regola generale, la reintegrazione del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. La sanzione principale è di tipo economico.
Cosa comporterebbe la vittoria del “Sì” al referendum?
Il quesito fa riferimento a un’abrogazione parziale dell’articolo 8. Il testo esatto del quesito referendario chiarisce quale parte specifica si intende abrogare. Consultando il testo ufficiale, si chiede l’abrogazione delle parole: “e in misura comunque non inferiore a cinque mensilità né superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, 1 nonché al comportamento e alle condizioni delle parti.”
Abrogando questa parte, verrebbe eliminato il tetto minimo e massimo all’indennità supplementare che il giudice deve considerare in caso di licenziamento illegittimo nelle piccole imprese.
Rimane in vigore l’obbligo per le piccole imprese di corrispondere l’indennità di mancato preavviso (se dovuta) in caso di licenziamento illegittimo. Viene meno la predeterminazione legale di un minimo (cinque mensilità) e un massimo (dodici mensilità) per l’indennità supplementare. La determinazione dell’indennità sarebbe rimessa alla valutazione del giudice, tenendo conto degli altri criteri indicati (anzianità di servizio, dimensioni dell’impresa, comportamento e condizioni delle parti), ma senza i limiti quantitativi attuali.
L’obiettivo di questa abrogazione parziale è presumibilmente quello di eliminare una rigidità normativa e lasciare maggiore discrezionalità al giudice nella determinazione dell’indennizzo per il lavoratore ingiustamente licenziato anche nelle piccole realtà aziendali.
3- Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi :
Questo referendum mira ad abrogare parzialmente l’articolo 19 del Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, che disciplina in maniera organica i contratti di lavoro e, in particolare, l’articolo 19 riguarda le regole sull’utilizzo dei contratti a tempo determinato.
L’articolo 19 stabilisce alcune regole fondamentali per i contratti a tempo determinato, tra cui:
Assenza di causale (acausale): Fino a un massimo di 12 mesi, è possibile stipulare un contratto a tempo determinato senza specificare una specifica ragione giustificativa (la cosiddetta “causale”).
Obbligo di causale oltre i 12 mesi: superati i primi 12 mesi di contratto a termine (anche per effetto di più contratti successivi con lo stesso datore di lavoro, per le stesse mansioni), è necessario che il contratto sia giustificato da specifiche “causali” previste dalla legge o dai contratti collettivi (ad esempio, esigenze temporanee e oggettive, sostituzione di lavoratori assenti, incrementi temporanei dell’attività).
Durata massima: La durata complessiva dei contratti a tempo determinato successivi con lo stesso datore di lavoro per lo svolgimento delle medesime mansioni non può superare i 24 mesi, salvo diverse disposizioni dei contratti collettivi. Oltre questo limite, il contratto si trasforma a tempo indeterminato.
Numero massimo di proroghe: Il contratto a tempo determinato può essere prorogato per un massimo di quattro volte nell’arco dei 24 mesi (o del diverso termine stabilito dai contratti collettivi), a condizione che la durata complessiva del contratto, comprensiva delle proroghe, non superi i limiti massimi.
In sintesi, la vittoria del “Sì” significherebbe che:
Verrebbe eliminata la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato per i primi 12 mesi senza una specifica causale.
Si tornerebbe a un regime in cui l’apposizione del termine al contratto di lavoro dovrebbe sempre essere giustificata da una delle causali previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva fin dal primo giorno di lavoro.
Rimarrebbero in vigore le disposizioni relative alla durata massima complessiva dei contratti a termine (24 mesi, salvo diversa previsione dei contratti collettivi) e al numero massimo di proroghe (4).
L’obiettivo di questa abrogazione parziale è quello di restringere le possibilità di utilizzo del contratto a tempo determinato, rendendolo uno strumento più legato a reali esigenze temporanee dell’azienda e potenzialmente favorendo l’assunzione a tempo indeterminato fin dall’inizio del rapporto di lavoro.
4- Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici :
Questo referendum mira ad abrogare l’articolo 26, comma 4, del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro), che introduce una limitazione alla responsabilità solidale in caso di infortuni sul lavoro che coinvolgono lavoratori di imprese appaltatrici o subappaltatrici.
In generale, nel sistema degli appalti e dei subappalti, vige il principio della responsabilità solidale tra committente, appaltatore e subappaltatore per quanto riguarda gli obblighi retributivi e contributivi nei confronti dei lavoratori impiegati. Questo significa che il lavoratore può rivalersi per i propri crediti non solo nei confronti del proprio datore di lavoro diretto, ma anche nei confronti degli altri soggetti della filiera dell’appalto.
Tuttavia, l’articolo 26, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008 introduce un’esclusione parziale da questa responsabilità solidale per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. In particolare, esclude la responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore quando l’infortunio o la malattia professionale sono conseguenza di rischi specifici propri dell’attività dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice.
Facciamo un esempio per chiarire:
Immagina un’azienda (committente) che affida lavori di manutenzione a un’impresa specializzata (appaltatrice). Un dipendente dell’impresa appaltatrice si infortuna utilizzando una specifica attrezzatura di lavoro propria dell’impresa appaltatrice e legata al suo specifico know-how. In base all’articolo 26, comma 4, il committente (e potenzialmente anche altri subappaltatori) non sarebbero responsabili in solido per questo infortunio, in quanto deriva da un rischio specifico dell’attività dell’appaltatore.
In sintesi, la vittoria del “Sì” implicherebbe che:
Committenti, appaltatori e subappaltatori tornerebbero ad essere potenzialmente responsabili in solido anche per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali subite dai dipendenti delle imprese appaltatrici o subappaltatrici, indipendentemente dal fatto che il rischio sia specifico dell’attività di queste ultime.
L’obiettivo di questa abrogazione è presumibilmente quello di rafforzare la tutela della salute e sicurezza sul lavoro nella filiera degli appalti, incentivando tutti i soggetti coinvolti (committente incluso) a vigilare e adottare misure preventive adeguate, anche in relazione ai rischi specifici delle imprese esterne.
5- Cittadinanza italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana:
Questo referendum mira ad abrogare parzialmente l’articolo 9, comma 1, lettere b) e f) della Legge 5 febbraio 1992, n. 91 (“Nuove norme sulla cittadinanza”). Queste lettere stabiliscono i termini di residenza legale necessari per lo straniero maggiorenne extracomunitario che intende richiedere la concessione della cittadinanza italiana per residenza.
Cosa prevedono attualmente le lettere b) e f) dell’articolo 9, comma 1, della Legge n. 91/1992?
Lettera b): Richiede una residenza legale in Italia di almeno dieci anni per lo straniero maggiorenne non comunitario.
Lettera f): Prevede termini di residenza più brevi (ad esempio, quattro anni per i cittadini di uno Stato membro dell’Unione Europea, cinque anni per gli apolidi e i rifugiati, ecc.). La lettera f) fa riferimento anche al caso dello straniero che ha prestato servizio, anche all’estero, per almeno cinque anni alle dipendenze dello Stato italiano.
In sintesi, la vittoria del “Sì” significherebbe che:
Il requisito generale di residenza legale in Italia per lo straniero maggiorenne extracomunitario per poter richiedere la cittadinanza italiana per residenza verrebbe ridotto da dieci a cinque anni.
Rimmarrebbero invariati gli altri termini di residenza più brevi previsti dalla lettera f) per categorie specifiche di stranieri (cittadini UE, apolidi, rifugiati, ecc.).
L’obiettivo di questa abrogazione è quello di accelerare i tempi per l’ottenimento della cittadinanza italiana per gli stranieri extracomunitari che hanno stabilito un legame stabile e duraturo con il territorio italiano attraverso la residenza legale.
Spero che questa panoramica sui cinque referendum abrogativi sia stata completa e chiara. Se hai ulteriori domande o curiosità, non esitare ad esporre i tuoi dubbi nei commenti . . .
I referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno 2025 sono cinque e riguardano diverse tematiche, principalmente legate al lavoro e alla cittadinanza: nel video un’ampia disamina delle cinque proposte abrogative . . .
Ogni singolo voto conta, e la partecipazione di ogni cittadino è fondamentale per determinare l’esito dei referendum.
#peaceandlove
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