dicembre 2004
La sentenza di 1° grado
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale Ordinano di Milano IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA SEZIONE
4° PENALE
ha pronunciato la seguente SENTENZA
nella causa penale contro X e Y IMPUTATI
del reato di cui agli artt. 110,81 cpv, 348 c.p. in relazione all’ari
18 L 6/89, perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive
di un medesimo disegno criminoso, X quale coordinatore ed istruttore,
Y quale istruttore della Versante Sud associazione affiliata alla
FASI (Federazione Arrampicata Sportiva Italiana),
esercitavano abusivamente la professione di
guida alpina,
in particolare, organizzavano un corso a pagamento dì arrampicata
sportiva, nell’ambito del quale accompagnavano gli allievi su un
sentiero impervio, utilizzando tecniche di sicurezza alpinistica.
CONCLUSIONI DELLE PARTI:
II Pubblico Ministero chiede l’assoluzione di entrambi gli imputati
dal reato loro contestato perché il fatto non sussiste.
Il difensore della parte civile chiede:
affermare la responsabilità penale degli imputati e del responsabile
civile;
(condannare gli imputati in solido tra loro e con il responsabile
civile al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva
;
subordinare l’eventuale concessione della sospensione condizionale
della pena al pagamento della provvisionale al sensi dell’art. 165
c.p.;
ordinare la pubblicazione della sentenza di condanna a spese dei
condannati (Imputati e responsabile civile in solido tra loro) ai
sensi dell1186 c.p.;
condannare gli imputati in solido tra loro e con il responsabile
civile al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile per
il presente grado di giudizio per un importo totale di Euro 4.766,40.
Il difensore degli imputati e del responsabile civile chiede l’assoluzione
dei propri assistiti perché il fatto non sussiste o in subordine
perché il fatto non costituisce reato; chiede altresì che vengano
rigettate tutte le richieste avanzate dal difensore della parte
civile.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con decreto di citazione diretta a giudizio in data 17.04.2003,
X e Y sono stati rinviati a giudizio innanzi a questo Tribunale
in composizione monocratica, per rispondere dei fatti di cui alla
rubrica, (esercizio abusivo della professione di guida alpina, tra
l’ottobre ed il novembre 1997).
Con atto depositato in Cancelleria, si costituiva ritualmente parte
civile (Omissis) personalmente e quale (Omìssis) Con apposita istanza,
la parte civile chiedeva di poter citare in giudizio il responsabile
civile, individuato nella persona del legale rappresentante della
Società Sportiva Versante Sud, che, ritualmente citato, si costituiva
in giudizio col proprio difensore, all’udienza del 14.05.2004.
In via preliminare, all’udienza del 12.03.2004, la difesa degli
imputati sollevava eccezione di prescrizione e di incompetenza territoriale.
Chiedeva, inoltre, non ammettersi la costituzione di parte civile.
L’istruttoria dibattimentale, tenutasi alla presenza di entrambi
gli imputati, si svolgeva con l’ascolto dei testi del Pubblico Ministero
nonché dei testi della difesa .
Sotto il profilo documentale, venivano acquisiti - in sintesi -
i seguenti atti:
rilievi fotografici relativi alla falesia ed al sentiero per accedervi;
copia del volantino di promozione del corso di cui all’imputazione;
atto di denuncia presentato da (Omissis) il 31.10.1997 alla Procura
della Repubblica presso la Pretura Circondariale di Milano;
opposizione alla richiesta di archiviazione ed atti conseguenti;
deleghe di indagine ;
nota C.O.N.I. e statuto della Federazione Nazionale Arrampicata
Sportiva;
pubblicazioni relative alla arrampicata sportiva;
Regolamento per la formazione e l’attività degli istruttori della
FASI;
statuto federale della FASI;
atto di costituzione e statuto della società sportiva Versante Sud;
linee guida per l’esecuzione di lavori temporanei in quota;
manuale sulle manovre di corda.
In sede di conclusione la difesa reiterava la già proposta eccezione
di incompetenza territoriale, sostenendo che, all’esito dell’istruttoria
dibattimentale, sarebbe emersa un’attività iniziata in Milano e
protrattasi in una serie di località fuori Milano.
Pertanto, ai sensi del combinato disposto degli arti 16 e.p.p. ed
81 c,p., il locus commissi delìcti andrebbe determinato dove si
consuma l’ultimo atto del reato continuato.
Sul punto non può che evidenziarsi che nella specie deve trovare
applicazione il disposto dell’art. 16 co. 1 c.p.p ed 81 c.p. che
stabilisce che in caso di concorso tra più reati di pari gravita
(come nella specie, in cui si contesta la reiterazione di una medesima
condotta) la competenza territoriale si radica nel luogo di commissione
del primo reato. Tale luogo va individuato in Milano, ove, come
si vedrà, si è svolta la parte teorica del corso di cui in imputazione
e la attività di coordinamento ed organizzazione (che, peraltro,
ha preceduto ciascuna delle uscite). L’eccezione pertanto è infondata
e non può quindi trovare accoglimento. Venendo al merito della trattazione,
ritiene questo Giudice che, all’esito dell’istruttoria dibattimentale,
siano emersi elementi fondanti un giudizio di sussistenza della
responsabilità degli imputati in ordine al reato loro ascritto.
Va preliminarmente chiarito che oggetto della contestazione non
è soltanto, come sostenuto dalla difesa in sede di conclusione,
l’attività di accompagnamento lungo un sentiero impervio, ma più
in generale la realizzazione di un corso di arrampicata sportiva,
con tutte le implicazioni che da esso derivano.
L’istruttoria dibattimentale ha consentito di verificare può dirsi
con assoluta certezza che Versante Sud - affiliata FASI, costituita
nel 1995 - organizzava un corso di arrampicata sportiva, strutturato
in una parte teorica, svoltasi in Milano presso la sede stessa dell’associazione,
ed una parte pratica, svoltasi in diverse giornate nelle quali l’istruttore
portava i propri allievi presso falesie attrezzate, in località
non distanti da Milano. Il corso costava 360.000 (vecchie) lire
e vi prendevano parte (Omissis) oltre a circa altrettante persone
rimaste ignote. Va rilevato che la ricostruzione testimoniale dei
fatti come sopra sintetizzata, ha dato piena corrispondenza a quanto
già emergeva dal tenore del volantino di presentazione del corso
acquisito in atti .
L’istruttoria si è particolarmente concentrata sull’uscita svoltasi
presso la falesia sita in località (nei pressi di Lecco) ma si è
verificato essersene svolte anche altre in giorni successivi .
Il corso teorico/pratico era tenuto da X, mentre Y - anche quale
presidente - si occupava della sua organizzazione. Nessuno dei due
si presentava come guida alpina, né risulta che sia stata in qualche
modo direttamente ingenerata la convinzione della esistenza di una
tale qualifica. Nell’uscita del 17.10.1997 in , la giornata si era
svolta con una camminata di avvicinamento alla falesia durata circa
un’ora, un’ora e mezzo. Presso la falesia, poi, X aveva mostrato
le tecniche di arrampicata e di realizzazione dei nodi di imbragatura
e di sicurezza, ed i partecipanti avevano ripetutamente messo in
pratica quanto appreso. La falesia era già stata attrezzata da altri,
ed aveva una pendenza quasi verticale. L’arrampicata aveva sempre
avuto ad oggetto un solo “tiro” di corda, cioè era consistita in
una salita e discesa da un punto fìsso di terra. Nel corso di tale
attività i partecipanti potevano verificare che cadevano alcuni
piccoli sassi dall’alto, probabilmente a causa del passaggio di
altre persone in una postazione più elevata. Nessuno dei partecipanti
portava il casco: durante il ritorno, ripercorrendo il medesimo
sentiero dell’andata, (Omissis) si sentiva insicura durante un tratto
ripido, e protetto lateralmente da una corda. X provvedeva quindi
ad imbragarla ed a controllare la sua discesa assicurandola ad una
corda e ad un albero. Il tratto lungo il quale (Omissis) aveva presentato
tale difficoltà veniva riportato su documentazione fotografica,
descritta dall’imputato X in sede di esame. Analoghe attività venivano
svolte anche nelle successive uscite, alle quali però la Omissis
non prendeva più parte. Risulta, infine, accertato che la F.A.S.I.
è “disciplina associata al CONI, riconosciuta con delibera del Consiglio
nazionale n. 889 del 20.09.90” (così in nota CONI acquisita agli
atti).
Questo, in sintesi, quanto accertato in sede istruttoria.
Come si è già avuto modo di osservare, la ricostruzione dei fatti
è assolutamente pacifica tra le parti, come sottolineato dagli stessi
imputati. Diversa e controversa, invece, la lettura che di tali
fatti le parti hanno offerto. La questione portata all’attenzione
di questo giudicante, ha sostanzialmente ad oggetto la qualifica
necessaria per svolgere l’attività di istruttore della disciplina
denominata “arrampicata sportiva”.
Il fuoco del problema va posto nella necessità o meno che l’insegnamento
della arrampicata sportiva si svolga soltanto in ambiente artificiale,
o se non possa anche svolgersi in ambiente naturale. Occorre, a
questo punto, richiamare le fonti normative cui far riferimento
per la ricostruzione sistematica della problematica in esame. Richiamo
necessitato dalla natura stessa del reato in contestazione, che,
quale norma penale in bianco, impone la verifica delle altre norme
dalle quali desumere la necessità della abilitazione professionale
e dell’iscrizione al relativo albo. A tal fine, va innanzitutto
richiamata la L 02.01/1989 n. 6 (ordinamento della professione di
Guida Alpina).
Ai sensi dell’art. 2, co. 1 della suddetta legge:
“è Guida Alpina chi svolge professionalmente, anche in modo non
esclusivo e continuativo, le seguenti attività: a) accompagnamento
di persone in ascensioni sia su roccia che su ghiaccio o in escursioni
in montagna; b) accompagnamento di persone in ascensioni sci-alpinistiche
; e) insegnamento delle tecniche alpinistiche e sci-alpinistiche
.”
Ed ancora al comma 2:
“lo svolgimento a titolo professionale delle attività di cui al
comma 1, su qualsiasi terreno e senza limiti di difficoltà e comunque
laddove possa essere necessario l’uso di tecniche e di attrezzature
alpinistiche, è riservato alle guide alpine abilitate all’esercizio
professionale e iscritte nell’albo professionale delle guide alpine...”
La medesima legge stabilisce poi quale sia il percorso formativo
per il raggiungimento del titolo di Guida Alpina - Maestro di Alpinismo
ed impone l’iscrizione al relativo albo professionale, demandando
alle Regioni la realizzazione concreta dell’attività formativa.
E’ comunque, imposto un aggiornamento professionale, necessario
al rinnovo dell’iscrizione all’albo professionale da effettuarsi
ogni tre anni (artt. 8 e 9). A seguito di ulteriori corsi di formazioni,
infine, le guide alpine e gli aspiranti guide possono Conseguire
delle specializzazioni tra cui quella di “arrampicata sportiva in
roccia e ghiaccio”
Quanto alla Regione Lombardia, i corsi di formazione per il raggiungimento
del titolo di guida alpina sono previsti dalla L.R. 11.11.1994 n
29, il cui art. 7 stabilisce un percorso formativo teorico pratico
preceduto da prove attitudinali della durata minima di, 85 giorni
(per l’aspirante guida alpina), e prevede vari insegnamenti tra
cui: alpinismo su roccia e su ghiaccio, arrampicata in falesia,
scialpinismo, ogni profilo dì soccorso in tali ambienti, metereologia,
geologia (per citare i più rappresentativi). A tale periodo si aggiunge
un ulteriore corso di 8 giorni per il conseguimento dell’abilitazione
all’ esercizio della professione di guida alpina - maestro di alpinismo.
Alla fine di entrambi i percorsi è previsto un esame. Anche la L.R.
in esame riserva espressamente alle guide alpine abilitate ed iscritte
all’albo le attività di accompagnamento di persone in ascensioni,
sia su roccia che su ghiaccio o in escursioni in montagna e su sentiero
(art, 1 lett. a).
Dallo Statuto Federale della FASI (Federazione Italiana Arrampicata
Sportiva) si apprende (art. 1) che “la Federazione Arrampicata Sportiva
italiana (FASI) apolitica e aconfessionale è l’organismo che in
Italia coordina e organizza l’attività didattica e agonistica dell’arrampicata
sportiva ”.
I fini istitutivi sono stabiliti dall1 art. 2: “la FASI ha i seguenti
fini istitutivi: a) la propaganda della disciplina della arrampicata
sportiva agonistica b) l’organizzazione di campionati regionali,
interregionali e nazionali; c) lo studio, la divulgazione dei necessari
metodi di preparazione e allenamento e la formazione dei quadri
tecnici (allenatori, istruttori, tracciatori e giudici di gara)
in stretta collaborazione con la Scuola dello sport del CONI e della
Federazione Medico Sportiva Italiana; d) lo sviluppo e la promozione
della arrampicata sportiva nei settori amatoriali e dell’educazione
motoria giovanile mediante corsi di avviamento; e) favorire la costruzione
di impianti artificiali per l’arrampicata sportiva, specialmente
nelle scuole, in collaborazione con le iniziative di Enti Pubblici
e Privati; f) la determinazione dei criteri per l’omologazione di
impianti naturali e artificiali e dei materiali per la pratica dell’arrampicata
sportiva; g) la partecipazione dei propri atleti all’attività internazionale;
h) la protezione degli ambienti naturali ove si svolge la pratica
della arrampicata sportiva nel rispetto delle leggi e dei regolamenti
dello Stato e delle Regioni”.
Come si vede, lo statuto FASI non offre un
diretto riferimento alla nozione di arrampicata sportiva,
il richiamo ad attività in ambiente naturale si ricava solo in via
indiretta dalla indicazione tra i fini istitutivi della individuazione
dei criteri di omologazione degli impianti “naturali e artificiali”.
Più esplicito lo Statuto dove all’ art. 4 si indicata tra gli scopi
associativi “creare nuovi centri attrezzati per l’arrampicata, sia
su roccia naturale che in spazi artificiali”, “istituire corsi,
propedeutici e specialistici per i soci nelle varie attività alpine”.
La nozione di arrampicata sportiva è invece
ricavabile (stando a quanto portato all’attenzione di questo giudice)
dagli “Appunti Tecnici” - fascicolo n.l - E edizione 1997
(“Nozione e tecnica di base per un corso di arrampicata sportiva”)
pubblicati dalla F.A.S.I., ed acquisiti in atti. A pag. 3 di detto
volume si legge: “Viene definita “arrampicata sportiva” con finalità
olimpiche l’arrampicata naturale (cioè senza) l’ausilio di mezzi
artificiali per la progressione) a scopo agonistico, di educazione
motoria e di spettacolo, svolta su pareti naturali o artificiali
lungo itinerari controllati dalla base”.
E ancora, a pag. 40, alla voce di glossario “Arrampicata sportiva”
si legge: “scalata protetta, su roccia o su strutture artificiali,
che utilizza per la progressione esclusivamente gli appigli/appoggi
naturali oppure, se trattasi di pareti artificiali, appigli e appoggi
predisposti. La protezione, in progressione o dall’alto, è obbligatoria
ed è attuata utilizzando gli ancoraggi sistemati nelle precedenti
operazioni di attrezzaggio”. Nell’ambito di tale quadro normativo
e concettuale, la questione veniva posta in termini apertamente
contrapposti dalla parte civile da un lato e dagli imputati dall’altro
lato.
(Omissis), presidente del Collegio Nazionale Guide Alpine, costituitesi
parte civile in tale veste ed in proprio, riferiva di essersi attivato,
all’epoca dei fatti, a seguito di una serie di segnalazioni di attività
riservate alle guide alpine, svolte da personale non abilitato.
Si trattava per esempio, di pubblicità di corsi o simili che venivano
trovati all’interno di negozi di articoli sportivi. Nella sua veste
istituzionale si era attivato per arginare tate fenomeno anche perché
in quello stesso periodo si erano verificati numerosi incidenti
in montagna (a lui noti anche per aver prestato attività di soccorso
alpino), ed aveva ritenuto pertanto necessario rilanciare una attività
di prevenzione e di informazione più efficace. Quanto, più in particolare,
all’attività svolta da Versante Sud precisava di essersi sentito
in dovere di segnalare la cosa all’autorità giudiziaria, in quanto
aveva verificato che l’associazione organizzava escursioni in ambiente
naturale, dove “ci sono dei pericoli che sono incontrollabili e
quindi ci vuole una formazione specifica, ci vuole esperienza e
per valutare anche quali sono i rischi... e la falesia è un ambiente
naturale”, l’attività di istruttore in tale ambiente deve essere
svolta da una guida alpina, o da un aspirante guida alpina: “l’arrampicata
su roccia è attività esclusiva delle guide alpine” (pg. 28 trascr.
ud. 14.05.2004). (Omissis) riferiva, altresì, che l’attività di
prevenzione svolta nella veste di Presidente del Collegio Nazionale
Guide Alpine si era sviluppata in un primo tempo tramite una azione
di informazione scritta, mettendo al corrente i soggetti che organizzavano
corsi in ambiente naturale che ciò era consentito soltanto alle
guide alpine, in forza di una legge statale poi recepita da una
legge regionale. In alcuni casi aveva ricevuto risposta, in altri
no. Comunque l’attività “abusiva” aveva visto una certa riduzione.
Quanto alla FASI, per quanto a sua conoscenza, gli istruttori ricevevano
una formazione di non più di 5 o 6 giornate, mentre quella di una
guida alpina dura 1.200 ore in 4 anni, “con due gradi di abilitazione
ed un tirocinio obbligatorio di 2 anni con limitazione di difficoltà
molto severe”. Cui si uniscono corsi teorici di geologia e di vari
altri aspetti naturalistici. (Omissis) precisava di aver saputo
dell’iniziativa della Versante Sud tramite dei colleghi che frequentavano
la palestra dove lavorava. Il teste Ariano Amici (Presidente della
F.A.S.I.) riferiva innanzitutto che la F.AS.I., della quale è Presidente
dal giugno 2001, è una federazione affiliata al C O. N. I. Quanto
all’attività di promozione della arrampicata sportiva, teneva a
sottolinearne la natura distinta rispetto a quella che definiva
arrampicata tradizionale o alpinistica. In particolare precisava
che l’arrampicata sportiva è una disciplina che si caratterizza
nel superamento dall’ostacolo, costituito dal passaggio delle varie
fasi di ascesa. Superamento che deve derivare da una combinazione
di preparazione atletica e capacità di scegliere il percorso più
adatto. A differenza, della arrampicata alpinistica intesa come
percorso di ascesa che mira al raggiungimento della vetta, “diciamo
che l’arrampicata classica aveva come meta la conquista della vetta...
per noi è vincere la difficoltà, quindi il passaggio, saltare quella
misura, quello è la nostra arrampicata” .. Riferiva, poi, dell’esistenza
di un albo nazionale degli istruttori di arrampicata sportiva, e
di conoscere Y come istruttore della FASI, mentre X non risultava
più iscritto alla federazione dal 2000. . Infine, affermava che
la determinazione dei diversi campi di competenza e del “contenzioso”
che ne poteva nascere, era stato oggetto di vari incontri e dibattiti
tra la FASI e le Guide Alpine. Contenuti dello stesso tenore sono
stati espressi dagli imputati in sede di esame. Y ha affermato di
essere Presidente Provinciale della FASI con la qualifica di istruttore.
Nella sua veste ha riconosciuto di aver organizzato il corso di
cui si tratta nel presente processo, precisando che si era trattato
di uno dei tanti. Teneva, ancora, a chiarire che il corso prevedeva
una quota di iscrizione che andava all’associazione. La sua attività
si è limitata a prendere le iscrizioni ed a organizzare il corso,
mentre X svolgeva l’attività dì istruttore. Entrambi non percepivano
compensi, ma all’ istruttore spettava un rimborso spese. Affermava
che l’arrampicata in falesia è distinta dall’arrampicata alpinistica
(“che non è di nostra competenza”). Quando Versante Sud aveva organizzato
attività che richiedevano la presenza di una guida alpina, avevano
chiesto la collaborazione di guide alpine di loro conoscenza (per
esempio per organizzare un corso di scalata su ghiaccio). In sostanza,
affermava di aver sempre inteso l’attività di arrampicata in falesia
come esclusa dalle competenze delle guide alpine. e, precisava trattarsi
di un’attività praticamente priva di rischi. X, , riferiva di essere
stato istruttore della Versante Sud dal ‘95 sino al 2000, anno in
cui dava le dimissioni dalla federazione. Affermava che le sue competenze
quale istruttore FASI erano diverse rispetto a quelle di una guida
alpina, cosa della quale aveva avuto modo anche di discutere in
più occasioni con propri amici guide alpine. Confessava di aver
tenuto il corso di cui in imputazione, sia nella parte teorica che
in quella pratica, ma precisava di non essersi mai qualificato quale
guida alpina. Precisava, ancora, che in sede di formazione viene
spiegato agli aspiranti istruttori FASI che potevano “operare nell’ambito
delle strutture artificiali e naturali limitate al monotiro, strutture
artificiali e naturali”. Questo ci è stato detto. “Dove invece ci
sono più tiri, dove ci sono delle condizioni ambientali di alta
montagna, non era competenza nostra, quindi era di competenza delle
guide alpine”. Ritiene questo giudice di non poter condividere l’impostazione
difensiva, circa l’esistenza di una sorta di competenza limitata
degli istruttori FASI all’insegnamento della arrampicata sportiva.
Si deve infatti evidenziare che tale impostazione non trova alcun
appiglio normativo, né in via di costruzione logico-sistematica,
né, tantomeno, in via letterale. Come si è visto, infatti, l’art.
2 co.l della L. 6/89 comprende nel campo operativo esclusivo delle
Guide Alpine iscritte al relativo albo professionale l’attività
di accompagnamento di persone in ascensioni sia su roccia che su
ghiaccio; o in escursioni in montagna, nonché l’insegnamento delle
tecniche alpinistiche. . Ora pare non potersi dubitare che l’ascensione
in falesia praticata nel corso organizzato e tenuto rientri nella
nozione di ascensione su roccia peraltro con l’utilizzo di tecniche
alpinistiche (quali l’imbragatura di sicurezza, e la cordata in
monotiro). Ma, anche a voler diversamente argomentare, la medesima
legge preclude ai soggetti che non abbiano conseguito l’abilitazione
di guida alpina la stessa attività di accompagnamento in escursione
in montagna. Mentre per l’arrampicata sportiva in roccia le stesse
guide alpine necessitano di una ulteriore specializzazione, come
previsto dal già richiamato art. 10 L. 6/89. E il dato letterale
è confortato dalla riflessione sulla ratio della norma. Il legislatore,
infatti, ha inteso richiedere una particolare professionalità (garantita
da una lunga formazione specifica, dal superamento di esami e dall’iscrizione
all’albo che impone un costante aggiornamento professionale) a coloro
che sono chiamati ad accompagnare escursionisti in montagna, ed
a insegnare le tecniche, dì ascesa alpinistica. Con ciò riconoscendo
l’intrinseca natura pericolosa dell’ambiente in cui tale attività
viene svolta, e la necessità di un sapiente contenimento dei rischi
che tale ambiente comporta. Rischi che derivano non soltanto dalle
peculiarità più o meno “sportive” delle tecniche adottate (più legate
ad aspetti di preparazione “atletica”), ma anche dalla particolare
“instabilità” dell’ambiente naturale tipico della montagna. Sia
dal punto di vista meteorologico che geologico. Ed infatti, prevede
l’obbligo “per ogni guida alpina in caso di infortuni in montagna
o comunque di pericolo per alpinisti, escursionisti o sciatori,
a prestare la loro opera individualmente o nell’ambito delle operazioni
di soccorso, compatibilmente con il dovere di mantenere le condizioni
di massima sicurezza per i proprio clienti”. Con ciò evidenziando
la natura quasi fisiologica delle condizioni di rischio dell’ambiente
montano. A fronte del dato normativo sopra prospettato, qualunque
eccezione ai principi così stabiliti dovrebbe provenire dalla medesima
fonte, o da fonte superiore. A differenza di quanto osservato dal
Pubblico Ministero in sede di conclusioni, appare di fondamentale
importanza ai presentì fini qualificare le fonti e porle nel debito
ordine. Se è pur vero, infatti, che la FASI ha provveduto a fornire
una definizione di arrampicata sportiva in termini sufficientemente
esaustivi non può che rilevarsi una sostanziale sovrapposizione
di campo laddove l’arrampicata sportiva si svolga in ambiente naturale.
Ed invero, difficilmente si può sostenere che la salita su parete
ripida quale la falesia (tipicamente usata come campo di azione)
con la tecnica del monotiro, cioè con corda ed imbracatura di sicurezza,
non sia in tutto e per tutto una attività ascensionale su roccia.
Va peraltro osservato che la nozione di arrampicata sportiva cui
la FASI si richiama non è contenuta nemmeno nel proprio statuto,
ma, come si è più sopra evidenziato, è riportata in una pubblicazione
dal carattere assolutamente privatistico, cui non può attribuirsi
alcuna forza di deroga al principio posto dalla legge nazionale.
Né il riconoscimento del CONI può spostare il ragionamento sin qui
svolto. Pur riconoscendosi il valore sociale dell’affermazione di
una nuova disciplina sportiva, e dell’impegno che gli appassionati
di tale disciplina impiegano a tale fine, non può certo affermarsi
che il Comitato Olimpico Nazionale abbia capacità di derogare a
quanto disposto dalla legge ordinaria. Peraltro va ricordato che
la questione qui trattata ha ad oggetto soltanto l’insegnamento
dell’arrampicata sportiva, e non la pratica di tale sport. In altre
parole, secondo la lettura delle fonti normative sopra prospettata,
non può che concludersi che per l’insegnamento dell’arrampicata
sportiva è necessaria la qualifica di Guida Alpina e l’iscrizione
al relativo albo nazionale, Occorre poi accertare, ai fini della
concreta configurazione del reato, se sia stato posto in essere
un atto tipico della professione e nello stesso tempo esclusivo
della stessa (cioè non realizzabile in assenza della qualifica).
Anche sotto tale profilo, ritiene questo giudice che la condotta
qui esaminata integri la fattispecie di cui all’art. 348 c.p.. In
altre parole, si ritiene che l’accompagnamento in zona di montagna
e l’insegnamento di tecniche di ascesa su parete rocciosa sia espressione
tipica della professione di guida alpina e debba essere esercita
in via esclusiva da chi sia munito della relativa qualifica. Probabilmente
si può facilmente sostenere che l’arrampicata sportiva comporti
un tipo di ascesa a scarso rischio, rispetto a quanto si possa verificare
non tanto su pareti più alte (perché anche le falesie lo sono) ma
su percorsi più lunghi. O, ancora, che si tratti di una disciplina
che, laddove esercitata in ambiente naturale, copra comunque una
nicchia di attività i cui rischi e le cui peculiarità sono sufficientemente
gestibili da chi abbia una formazione quale quella degli istruttori
FASI. Ma è altrettanto evidente che il legislatore ha ritenuto circostanza
di poco conto la “lunghezza” del percorso, dando invece risalto
alle caratteristiche dell’ambiente in cui si svolge l’attività,
ritenendo che l’ambiente di montagna, sia esso di bassa che di alta
montagna, su sentiero o su roccia, sia caratterizzato da una intrinseca
pericolosità, legata ad una serie di fattori variabili, la cui comprensione,
previsione, gestione debba essere attribuita ad una specifica competenza.
Quella, appunto, delle guide alpine. E non altra. Va ancora osservato
che l’accompagnatore / istruttore in zona di montagna viene ad assumere
una posizione di garanzia nei confronti dei propri allievi, posizione
tipicamente riconosciuta come tale dal legislatore, che comporta
il dovere di offrire a chi confida in tale posizione il massimo
della competenza possibile per lo svolgimento dell’attività conseguente
ad essa e per il contenimento e la gestione dei rischi collegati.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte deve pertanto ritenersi
che nel caso di specie sia prospettabile la sussistenza della fattispecie
di cui all’art. 348 c.p., sia in via astratta che in concreto. Resta
da esplorare il campo della consapevolezza soggettiva degli imputati.
Gli imputati hanno dimostrato di conoscere molto bene il contenuto
dell’art 2 della L. n. 6/1989 e della L. R. 29/1994 che ne ha recepito
i principi per quanto riguarda la Regione Lombardia, Ma hanno sostanzialmente
affermato di averne dato una interpretazione secondo la quale la
nozione di ascensione su roccia (di cui all’art. 1. co. 1 lett.
a) L, 6/89) non avrebbe compreso quella di arrampicata sportiva
in natura. Arrampicata quindi sottratta al regime di cui sopra.
Ma vi è di più.
Laddove si volesse dar risalto all’aspetto diffuso della convinzione
della correttezza dell1 interpretazione di cui sopra, così da sottolineare
la buona fede -in senso tecnico - degli imputati, occorre bilanciare
tale elemento con la pur acclarata circostanza da attività di informazione
preventiva svolta dal Omissis proprio al fine di evitare l’esercizio
di attività di insegnamento da parte di soggetti non abilitati.
Si ritiene che l’atteggiamento psicologico degli imputati sia piuttosto
da qualificare come convinzione delle proprie ragioni al punto da
persistere nella propria condotta. Un atteggiamento che, quindi,
denota un elevato grado di consapevolezza. Peraltro, è di tutta
evidenza che le fonti normative, sopra esaminate, non comportano
alcuna preclusione all’attività di promozione e di diffusione dell’arrampicata
sportiva. Attività che, come per tutte le discipline sportive, è
senz’altro riconosciuta dall’ordinamento quale importante momento
di aggregazione e di espressione sociale. Tuttavia, per l’aspetto
didattico (laddove esercitato in ambiente naturale), gli imputati
avrebbero semplicemente dovuto munirsi della qualifica di guida
alpina, e prima ancora, della formazione ad essa connessa. Percorso
che, invece, hanno fermamente ritenuto di non voler intraprendere.
Ritiene pertanto questo giudice che gli elementi sopra esposti convincano
della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in esame. Deve
pertanto essere dichiarata la penale responsabilità di entrambi
gli imputati in ordine al reato loro qui contestato. Gli imputati
sono entrambi incensurati ed hanno tenuto un comportamento processuale
di aperta collaborazione al chiarimento dei fatti.
Possono pertanto essere riconosciute ad entrambi le circostanze
attenuanti generiche.
Venendo alla commisurazione della pena, tenuto conto dei criteri
di cui all’ art 133 c.p., ed in particolare la non significativa
gravita del fatto, si ritiene equo comminare
agli imputati la pena di mesi 2 di reclusione ciascuno, cosi determinata:
pena base mesi 3 di reclusione (considerata la continuazione interna,
derivata dalla accertata protrazione della condotta per tutta la
durata del corso), ridotta come sopra ai sensi dell’art. 62 bis
c.p.
Alla presente condanna segue ex lege quella al pagamento delle spese
processuali.
Può, inoltre, essere concessa la sospensione condizionale della
pena, attesa l’incensuratezza degli imputati, che consente di formulare
nei loro confronti una prognosi favorevole.
Quanto alla valutazione delle richieste di parte civile, occorre
evidenziare che si ritiene prospettabile, quale conseguenza del
reato qui ritenuto sussistente, sia la realizzazione di un danno
morale in capo al (Omissis)
(sotto il profilo, quantomeno del danno all’immagine per l’esercizio
della professione da parte di soggetti non abilitati) sia realizzazione
di un danno patrimoniale, derivante dalla concreta attività remunerata
di insegnamento.
Medesimi profili di danno sono prospettabili quanto alla posizione
personale di X. Come precisato dalla stessa parte civile, tuttavia,
non si ritiene che in questa sede possa essere formulata una quantificazione
di detti danni, attesa l’assenza di prove sul punto.
La stessa questione relativa al pagamento della quota di Lire 360.000
in capo a ciascuno dei partecipanti al corso di cui in oggetto,
non ha avuto riscontro completo, né si è accertato in questa sede
quale sia stato il numero effettivo dei partecipanti al corso. Non
si ritiene pertanto di poter accogliere in questa sede la formulata
richiesta di liquidazione di una provvisionale.
Della rifusione dei suddetti danni deve essere chiamato a rispondere
anche il responsabile civile, qui ritualmente citato, atteso che
si è verificato che l’attività degli imputati è stata svolta quali
associati della Versante Sud, associazione che ha speso il proprio
nome per la presentazione del corso, che ha offerto i propri locali
per la organizzazione dello stesso e per la parte teorica delle
lezioni ed alla quale sono stati anche devoluti i proventi dell’attività.
Gli imputati ed il responsabile civile devono quindi essere condannati
in solido alla rifusione dei suddetti danni alla parte civile costituita,
danni da liquidarsi in separato giudizio.
Gli imputati ed il responsabile civile devono, infine, essere condannati
alla rifusione alla parte civile costituita delle spese sostenute
per il presente giudizio, spese che, considerata l’attività svolta
e la difficoltà del caso, si ritiene di liquidare in Euro 2.200,00
oltre IVA, CPA e quant’altro dovuto per legge. Si fissa in sessanta
giorni il termine per il deposito della motivazione della presente
sentenza.
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